La parola cantata si fa ‘voce’ di messaggi
che varcano i confini del significare.
Esiste una intraducibilità del canto
che vince le leggi della comprensione
aprendo vie di universale ricezione.
La dominante ‘fisica’ di una lingua,
l’impasto di timbro, cadenza, inflessione,
assegna alla parola cantata
– l’evento è storico –
un incremento capace di suggestionare
i filtri semantico-strutturali del senso.
“Volare”, diventa “Volare” ovunque.
“Yesterday”, pure.
Di contro, l’acquiescenza dizio-aurale
all’osmosi della comunicazione planetaria
tende al ‘silenzio’
in un ecumenismo anglo-timbrico e afro-ritmico
la cui koinè logaedica abdica al canto
divenendo traducibile parola.
Modugno, McCartney nell’incanto musico
della ‘voce’ unilingue
annullano il deficit ermeneutico di chi ascolta.
La ‘rap’-odia di Eminem, Jovanotti,
nell’aritmetica assonanza dell’interlingua
concatena un parlato che resta idioma.
Dicembre 2010
giovedì 7 luglio 2011
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